A PIEDI NUDI di Patrizia Manni
A piedi nudi ho iniziato a camminare, un percorso su antiche rue medioevali, stradine coperte da candide pietre levigate, alternate a piccoli ciuffetti d’erba. Provengo da un mondo lontano, rurale, pulito, come tutte le cose semplici ma conquistate. Antiche popolazioni guerriere, arroccate su montagne impervie e gelide per difendersi dalla furia romana. Così fu che la mia libera gente si difese dai truci conquistatori, alzò mura, si arroccò ancora più in alto e quando il gladio arrivò senza pietà alcuna, quegli uomini e quelle donne si armarono con una forza ed una tenacia mai viste. Per la prima ed unica volta i romani furono umiliati da quei popoli a passare sotto al giogo delle forche caudine…
I vinti odiarono ed iniziarono a covare vendetta, ottenendola poi nello stesso modo ma nessuno della mia Gente si umiliò, lo sguardo di ognuno, se pur vinto, fu fiero.
Da quel giorno i romani restarono ammirati così tanto dalle capacità combattive di quella gente che scelsero tra loro i soldati più coraggiosi per annoverarli nelle legioni più temute. Non si può combattere senza i Marsi ne’ contro di essi…era il detto romano.
Nei miei geni quindi tutto questo, unito alle capacità che il mio popolo aveva nel maneggiare i serpenti, anche per questo l’Imperatore aveva gran rispetto del Marsus…queste cose crescendo lì poi le studi, le vieni a sapere ma è la conoscenza che ti viene tramandata che è più importante. E’ un filo antico che percorre l’antica Tiburtina Valeria, il Tratturo e pervade ogni stradina…. Chi ha avuto, come me, la fortuna di camminare su quei ciottoli bianchi, consumatissimi che ora non ci sono più, ha sentito i passi delle persone che l’hanno preceduto.
Malgrado tutte queste cose: una Torre medioevale che a primavera si circondava di voli di rondini festose, mandorli fioriti e margherite sui prati, le fonti d’acqua pura e gelida, le donne in fila con le tavole sulla testa per cuocere i pani, le urla giocose dei bambini che correvano ovunque senza pericoli….malgrado il cielo azzurro intenso sulla neve bianca e scintillante un giorno lasciai la Selva, Pietrafitta, Pizzo Marcello…la bellissima Valle del Sagittario per ritrovarmi a Roma, la Città Eterna.
Che sofferenza non avere la Libertà, non potevo più uscire da sola, avere il controllo di tutto il perimetro del paese, sentirmi padrona di tutti gli angoli, delle discese e delle salite. La mia casa era piena di libri che a turno diventavano il mio nuovo mondo, la nuova frontiera da superare e così sono cresciuta e poi ho iniziato a camminare da sola per una città coperta da pietre squadrate e nere, opache. Mi mettevano tristezza quei primi anni i sampietrini romani e mi facevano paura quando li vedevo divelti dal terreno, abituata alle nostre pietre lucide e bianche, così ben ficcate per terra che nemmeno i secoli le avevano spostate…
…E così ho capito che a piedi nudi, su quelle pietre non ci avrei mai potuto camminare, non era l’Aravecchia, in cui stavano i miei nonni, nella casa simmetrica dal tetto rosso fuoco, in mezzo alle rose di Adelina, certo, avevo il Colosseo ma quanti di quei miei antichi avi avrà combattuto lì dentro? Così ho cominciato a cercare, cercare come un segugio, a sentire quello che la mia calamita interiore mi indicava e ho cominciato a scoprire posti in cui la mia gente era stata, in cui aveva sofferto, in cui era stata relegata….1900-1800-1700-1600…Campo Vaccino: con gli abruzzesi che stendevano i panni lì perché in quell’area abitavano e pregavano e adesso andrò oltre, perché oltre c’è tanto, ci sono le energie di quelli arrivati a piedi nudi prima di me…
Quando posso vado a Piazza Montanara e la guardo a lungo…quanti dei nostri montanari hanno atteso lì di essere presi a lavorare a giornata?…Insomma la vita è strana davvero, ti ritrovi a combattere per le stesse ragioni, per la stessa Libertà, per la stessa Dignità e quando arriva il tramonto sulla Torre delle Milizie, resto ammaliata dalle tinte calde dei mattoni che parlano la lingua che mi piace di più…quella delle fornaci e della gente che lavora.
La nota di Patrizia Manni è uno dei tanti esempi in campo letterario, di un approccio fiducioso alla memoria, per recuperare il passato. Il linguaggio risente molto dell’opera di Cesare Pavese “La luna e i falò”: romanzo fortemente impregnato nel vissuto dell’autore, che compie un viaggio di conoscenza alla ricerca di quelle che sono le proprie origini, le proprie radici sociali e culturali: dai luoghi della sua infanzia e della sua giovinezza egli spera di ricevere stimoli per la mente, per compiere quella ricerca nella memoria che è, alla fine, il vero obiettivo del protagonista. Un simile viaggio, anche se questa volta non fisico, lo compie Patrizia che, come Pavese, sfrutta i meccanismi di questa nostra funzione psichica per ottenere nuovi e chiari ricordi, anche se non direttamente ricercati. Lo spunto per il ricordo sono luoghi fisici come i sampietrini, il Colosseo, Torre delle Milizie, che evocano una serie di ricordi legati fra loro da un processo di tipo analogico.
Livia De Pietro