A Silvi si rinnova il rito dell’accensione del ” Ciancialone”

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A Silvi si rinnova il rito dell’accensione del ” Ciancialone”

Molte manifestazioni storiche d’Abruzzo hanno legami con il fuoco, basti pensare alle Farchie di Farafiliorumpetri, ai faugni di Atri, al Ciancialone di Silvi. Venerdì 31 si rinnoverà proprio quest’ultimo centenario rito, la cui storia si mescola nella leggenda.

Correva l’anno 1566, quando una grande flotta di navi turche invasero la costa abruzzese, sbarcando e distruggendo il porto di Cerrano, e saccheggiando tutti i villaggi della costa, ma non riuscirono ad entrare ne a Silvi, ne tonto meno ad Atri, questo grazie soprattutto all’ottima organizzazione difensiva del Duca Giovan Girolamo d’Acquaviva. Ma la storia si sa, viene resa magica dalla leggenda,  così si narra che a respingere i Turchi da Silvi, fu un giovane di nome Leone ( nome dello stesso patrono del paese, S.Leone), che con una grande torcia che emanava un’abbagliante luce, riuscì a spaventare e mettere in fuga gli invasori.

Mentre la popolazione si preparava a difendersi, si narra che un giovane di nome Leone, scese dalla collina con una fiaccola in mano e li affrontò. Più correva e più la fiaccola emanava una luce intensa ed incandescente, tanto che gli invasori credettero che un intero esercito fosse lì ad aspettarli e per paura di perdere il bottino già conquistato, si ritirarono. Perciò una volta scongiurato il pericolo tutta la città festeggiò il coraggio del giovane Leone, proclamandolo eroe cittadino.

Il popolo disse subito che si trattò di un miracolo ad opera di San Leone, e da allora la sera della vigilia della festa patronale, a Silvi si accende “ lu cèncele”,un enorme torcia formata da tralci secchi, da fascine di paglia e da una grande quantità di canne fatte precedentemente seccare.

Giunti al giorno della manifestazione, il pesantissimo e imponente fascio di canne, viene adagiato su un’enorme slitta di legno e trainata a mano con delle funi sino a raggiungere la piazza principale del Paese dove, sollevato faticosamente con delle corde dinnanzi alla Chiesa, il cittadino più coraggioso, solitamente un giovane locale di nome Leone (come il Santo patronale), si recherà con l’ausilio di una scala ad accenderlo sulla sommità. Da qui si apre la festa, che si protrae tutta la notte fino al suo spegnimento. Intorno al falò la gente canta e balla finché non rimane che cenere.  Oltre ad essere simbolo della cacciata dei Turchi ed evocare il coraggio del leggendario Leone, l’accensione del fascio è anche un fuoco solstiziale e propiziatorio che si lega da sempre ai riti di purificazione praticati nelle campagne e davanti alle chiese per ballarvi intorno.

Un rituale antico quanto l’uomo, praticato dagli agricoltori nei periodi dei solstizi, che basandosi sull’identificazione del sole con Dio, miravano a celebrare i ritmi vitali della natura in stretto contatto con i mutamenti della potenza solare, e a pregare Dio che proteggesse la raccolta, la semina e le attività agrarie. Il rito dunque unisce la sacralità del fuoco propiziatorio, essenzialmente pagano, alla religiosità popolare in onore di S. Leone.